youth - la giovinezza regia di Paolo Sorrentino Svizzera, Gran Bretagna, Italia 2015
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youth - la giovinezza (2015)

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locandina del film YOUTH - LA GIOVINEZZA

Titolo Originale: YOUTH - LA GIOVINEZZA

RegiaPaolo Sorrentino

InterpretiMichael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, Alex MacQueen, Mark Kozelek, Luna Mijovic, Madalina Ghenea

Durata: h 1.59
NazionalitàSvizzera, Gran Bretagna, Italia 2015
Generedrammatico
Al cinema nel Maggio 2015

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Trama del film Youth - la giovinezza

Youth La giovinezza, il nuovo film di Paolo Sorrentino, si svolge in un elegante albergo ai piedi delle Alpi dove Fred e Mick, due vecchi amici alla soglia degli ottant'anni, trascorrono insieme una vacanza primaverile. Fred è un compositore e direttore d'orchestra in pensione, Mick un regista ancora in attività. Sanno che il loro futuro si va velocemente esaurendo e decidono di affrontarlo insieme. Guardano con curiosità e tenerezza alla vita confusa dei propri figli, all'entusiasmo dei giovani collaboratori di Mick, agli altri ospiti dell'albergo, a quanti sembrano poter disporre di un tempo che a loro non è dato. E mentre Mick si affanna nel tentativo di concludere la sceneggiatura di quello che pensa sarà il suo ultimo e più significativo film, Fred, che da tempo ha rinunciato alla musica, non intende assolutamente tornare sui propri passi. Ma c'è chi vuole a tutti i costi vederlo dirigere ancora una volta e ascoltare le sue composizioni.

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Voto Visitatori:   6,79 / 10 (83 voti)6,79Grafico
Miglior musicista (David Lang)Miglior canzone originale (Simple Song #3 - Sumi Jo, David Lang)
VINCITORE DI 2 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Miglior musicista (David Lang), Miglior canzone originale (Simple Song #3 - Sumi Jo, David Lang)
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Voti e commenti su Youth - la giovinezza, 83 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  26/05/2015 19:51:49
   9 / 10
"Ma da un po' di tempo ho ricominciato a sentire molto bene, se mi concentro, singhiozzi che ebbi la forza di trattenere davanti a mio padre e che scoppiarono quando, più tardi, mi ritrovai solo con la mamma. In realtà essi non sono mai cessati; ed è soltanto perché la vita si è fatta adesso più silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come quelle campane di conventi che il clamore della città copre tanto bene durante il giorni da far pensare che siano state messe a tacere e invece si rimettono a suonare nel silenzio della sera" (M. P. - Combray)

Proust aveva capito perfettamente la nostra mente e il tempo interagiscono in forme che molto più spesso sono legate al dolore che alla gioia. Proprio per questo l'avventura del suo enorme romanzo e della sua ricerca fu di risalire la corrente e riscoprire la fede in un'umanità che superi il dolore e si confonda con l'assoluta mancanza di frustrazione che regna nella natura. I personaggi di questo film vivono le stesse intermittenze del cuore che provava il Narratore della Reserche, e mentre alcuni sono in grado di reggere il loro peso, altri vi soccombono. La leggerezza è una forma di perversione.
Ciò che cerca di fare Sorrentino con la sua scrittura è rendere visivamente ciò che Proust (e Céline) resero con la parola e l'intreccio romanzesco. Questo, a mio avviso, lo catapulta automaticamente nell'olimpo dei grandi artisti europei, dal momento che è più che noto che questi due scrittori ebbero pochissimo seguito nella nostra biblioteca*. Non sto chiaramente dicendo che il cinema di Sorrentino sia paragonabile ad alcuni tra i pilastri della storia intellettuale del Novecento, sto dicendo che il regista ha avuto il coraggio di perseguire alcune tematiche che sentiva come personali, degne di essere raccontate in inedite forme, e di continuare un filone che è specifico della storia della letteratura, non intrecciato con nessun altro campo, come spesso avviene per scrittori con poca inventiva e tanto studio erudito alle spalle.
"Gli intellettuali non hanno gusto", ovviamente non è vero. Alcuni fra gli scrittori che lo stesso Sorrentino più ama sono intellettuali, penso a Flaubert e Dostoevskij, o lo stesso Novalis, una delle nuove linee guida di quello che chiamo "canone sorrentiniano". Il regista napoletano ha un'inedita libertà, però, rispetto agli intellettuali a cui si riferisce polemicamente: per lui riprendere la complessa estetica di due giganti come Proust e Céline è naturale come per loro fu naturale riprendere quella del gigante su cui loro stessi stavano a cavalcioni: Flaubert. Per Proust il tempo della vita espresso dalle analessi esterne, dalla trama disfunzionale, dal tempo iterativo dell'Educazione sentimentale, per Céline il discorso sull'oriente e la scienza espresso nei Tre racconti e in Bouvard et Pecheuchet, nonché l'intera tradizione del viaggio romantico. Quello che cerco di dire è che Sorrentino ha eliminato tutte le sovrastrutture che culturalmente il cinema, il nostro cinema, si porta dietro, quello che Fellini chiamava "il compitino sociologico", sovrastrutture di un Paese in cui gli intellettuali hanno da sempre costituito un numero superiore a quello dei veri creativi. Riguardo alle sprezzanti critiche, un po' paternalistiche, un po' diffidenti, che ho letto in giro, io penso che il coraggio di questo regista vada ben oltre a quello di chi lo critica, e penso che un po' di sano campanilismo nazionalistico, come ce l'hanno i francesi e gli statunitensi, non guasterebbe. Operazione differente, ma in qualche modo analoga, l'ha compiuta Garrone, portando sullo schermo italico un fantasy, per di più tratto da un capolavoro misconosciuto della nostra letteratura, finora peraltro esclusivo appannaggio della critica accademica.
Dato che sono in tema-Sorrentino (una sorte che è già toccata a Moretti, e da cui spero questo grande regista scrittore possa svincolarsi presto, magari calcando meno di maniera), credo che la pecca del film sia duplice, per quanto veniale: l'averci infilato troppe sue paure molto personali e autobiografiche, cosa che ha distolto l'attenzione della sceneggiatura dal tema di fondo, YOUTH, e non perché le dette paure non siano legate al tema, ma perché ne depotenziano l'universalità. Questa è l'unica ragione per cui gli ho preferito La Grande Bellezza. In questo infatti ho visto meno Sorrentino e più Jep Gambardella. E qui vengo alla seconda pecca: l'Autore ha giustamente tentato di svincolare la sua trama da una struttura troppo incentrata sul pdv esclusivo di un personaggio forte e carismatico, come sempre prima d'ora. Da Titta, a Cheyenne, Geremia e Jep, il modus edificandi del plot era sempre avvinghiato a questo personaggio chiave, da cui si dipanava la storia, da cui guardavamo al mondo (di Sorrentino), e da cui pendevano gli altri personaggi, più deboli, certo, ma non meno interessanti. Inutile dire che, a parere personale, si era creato un equilibrio perfetto. Avventuratosi su un sistema misto, con protagonista adombrato da altri protagonisti, specie Mick, importantissimi sul piano tematico, ma meno capaci di interagire tra loro, si ha varie volte un effetto di vuoto, un effetto di debolezza strutturale, che in un maestro della penna come Sorrentino non siamo soliti avvertire.

Torniamo al film. Ritengo che il colpo di genio non sia in nessuna scena, ma nell'intera estetica a cui Sorrentino è ormai indissolubilmente legato. Nel tempo, l'interesse per la storia è venuto meno, ed è emerso il vero talento del regista nel saper rendere un tempo sospeso che, attenzione, non si dà nei movimenti della mdp, ma nella stessa presentazione dei personaggi. Quelli che vediamo non sono uomini o donne, non sono ruoli, non sono figure di una meccanismo finzionale. Sono un contrappeso della realtà. Sorrentino non fa film, come Mick Boyle o come l'attore in crisi professionale interpretato da Paul Dano. Sorrentino utilizza il mezzo per una sua personalissima ricerca della verità. La sua realtà di uomo, di regista, di padre e marito, di osservatore ammaliato dallo spettacolo del mondo (immagine iniziale e finale) viene riprodotta sulla pellicola per ciò che sta dietro a questa stessa realtà osservata, è la sua immersione nella profondità della vita, il tentativo di mostrare ciò che viene trasfigurato nella mente dall'esperienza. Ciò che è inevitabile è che i personaggi ci sembrino abnormi (Maradona), patetici (Mick), apatici (Fred), ma comunque per nulla somiglianti a persone reali. Eppure è su questo che si fonda il meccanismo illusionistico inventato da Sorrentino: che i suoi film non sembrino nemmeno film storie, dispositivi semiotici che si inventano a tavolino come gli sceneggiatori antipatici che lavorano con Mick. Ed è per questo che Sorrentino è anche la prima vittima del suo stesso meccanismo. La tentazione di filmare la propria vita è grande. Di trasferire se stesso nella sostanza delle sue storie è il suo peccato, a cui si accosta come un bambino voglioso di esperire il proibito. La paura di vedere sua moglie Daniela in fase di demenza sminuisce la portata eccezionale dell'ultima immagine in cui la figlia Lena si abbandona allo scalatore, una splendida immagine simbolica dell'amore e del suo coraggio, come le paure legate al personaggio di Mick (troppo autobiografico) inquinano la bellezza di questo personaggio, sempre sul punto di scattare, ma per l'appunto meno universale di un Jep o di un Geremia de Geremei. Siamo anni luce dai primi esercizi di stile, anni luce dall'incongruo This must be the place (che pure ho apprezzato), ma la sensazione che il film manchi di una coerenza universale si fa forte proprio quando Mick ruba la scena a Fred, personaggio troppo involuto per poter dispiegare la riflessione sull'apatia, che avrei davvero voluto fosse eletta a palpito tematico dell'intero film. Eccezionale rimane l'interpretazione di Caine, che salva in parte un personaggio a cui è stato ingiustamente tolto dello spazio. Come non ammirare il suo concerto naturalistico (Sorrentino non è un regista, è un artista proprio perché i suoi film, come la musica, "ci sono", non hanno bisogno di essere capiti, e non ci vuole un dottorato di ricerca in sociologia o filosofia per riconoscervi il tocco mistico), come non ammirare la bellissima scena, davvero incentrata sulla Giovinezza, di un dialogo tra Paul Dano e Michael Caine, quello in cui si parla della generosità dell'amicizia, di Stravinskij, e in cui si riassume il senso dell'intero film.
"Sto sempre tornando a casa, alla casa del padre".
Personalmente è in questo che un artista si rivela maturo. Saper ricordarsi del proprio passato, più che anticipare il proprio futuro. Commento questo film che sono ancora giovane, e vivo in una casa che non è più quella di mio padre, ma mi sento ancora debole e ho bisogno che una figura paterna e apatica mi guidi nelle mie domande. Personalmente per me la giovinezza è stata colta da questo film in questo. La giovinezza è quando si cerca di tornare a un momento prima di questo, e che ha il tratto inconfondibile del dolore.

12 risposte al commento
Ultima risposta 01/08/2015 13.23.13
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